Mi sono sempre chiesto, chi avra’ il coraggio di andare a Kyoto (京都, Capitale) per visitare Mimizuka (耳塚, Collina delle Orecchie), che in realta’ e’ una collinetta di nasi tagliati dalle truppe di Toyotomi Hideyoshi (豊臣 秀吉, 1537-1598) durante la loro campagna di Corea nel 1597-1598? Credo, e sono sicuro di non sbagliarmi, che e’ il luogo piu’ oscuro e rabbrividente in questa citta’ di meraviglie.
Pur avendone sentito vagamente parlare ero sempre riuscito ad evitarla durante le precedenti visite a Kyoto, interessato molto di piu’ ai suoi famosi giardini, i piu’ misteriosi, delicati e deliziosi che io abbia mai visto; il tempio Saiho-ji (西芳寺), con i suoi oltre 200 tipi di muschi; Katsura Rikyu (桂離宮), una piccola dependance della reggia; i monasteri Sanzen-in (三千院) e Jakko-in (寂光院), a Ohara (大原) a nord della citta’; i templi Tenryu-ji (天龍寺), Nanzen-ji (南禅寺) e Ryoan-ji (竜安寺); il lago nel monastero Byōdō-in (平等院). Il karesansui (枯山水, paesaggio secco), con le sue creazioni di ghiaia e sabbia, pietre e bonsai (盆栽) ad imitare l’oceano, isole, fiumi e boschi. Ti siedi in fronte a queste meraviglie e se non c’e’ nessuno intorno ti senti perso dentro di loro. Puoi restare la’ all’infinito e pensi che solo un’anima in pace con se stessa e’ stata capace di fare tutto questo. Io sono anche sempre curioso di quello che c’e’ dentro al tempio e la sala principale del monastero Chion-in (知恩院) e’ una delle piu’ belle sale che mi sia mai capitato di vedere. E c’e’ il ruscello che si getta nel lago del monastero Byōdō-in; spesso mi sono inoltrato fuori dal sentiero principale, allontanandomi dalla massa di visitatori e mi sono seduto vicino all’acqua che scorre fra i sassi e crea un piccola cascata. La calma che ho assaporato mi ha spinto a chiedere a mia moglie di spargere le mie ceneri in questo luogo.
Kyoto e’ fatta cosi’: arrivi nella impersonale pre-moderna stazione ferroviaria conscio che nonostante tutti gli sforzi che hai fatto, i libri che probabilmente hai letto, the storie che hai sentito, sei come il resto dell’orda. Visiterai quello che gli altri visitano, ti metterai in coda con gli altri e salirai nelli autobus sperando di trovare qualcosa di magico. Visiterai il tempio Kiyomizu-dera (清水寺) con il suo padiglione dorato, la cerimonia del te e le geisha (芸者) nel quartiere Gion (祇園), comprerai qualche dolcetto delizioso e qualche altra diavoleria tipica di Kyoto perche’ sei sempre sotto la spinta della guida che hai in mano ed i consigli degli amici prima della partenza. I ricordi sono cruciali. Ho messo insieme meravigliosi album di fotografie che non mi hanno ancora compensato—memmeno con un’interesse passeggero—per quello che sono degni.
Ma il meglio di tutto e’ quello che i giapponesi chiamano niwa (丹羽, giardino). Chiunque di noi che e’ sufficientemente scaltro come turista va alla ricerca di qualche posto tranquillo capace di far dimenticare tutti i “ci vediamo”, il trascinare del baggaglio, il sudore, la folla (filistei di certo), i prezzi pazzescamente alti, la completa sfibrante esperienza di viaggiare lontano e far apparire finalmente che il tutto era degno di essere vissuto. Il giardino del tempio Shisen-do (詩仙堂), un pezzetto di paradiso, e’ lassu sulla collina dove il leggendario maestro di spada Miyamoto Musashi (宮本 武蔵, c.1584-1645) sconfiggeva, sotto quel grande pino, un gruppo di samurai (侍) del clan di Yoshioka (吉岡町, Yoshioka-shi); oppure sedersi sul porticato in fronte al giardino del tempio Shoden-ji (正伝寺), con il monte Hiei (比叡山, Hiei-zan) in distanza; passeggiare nel boschetto di bambu in Sagano (嵯峨野); assaporare il kakigori (かき氷, かきごお, scaglie di giaccio) insaporito alla fragola affogato nel latte condensato dopo che hai scambiato qualche parola con i visitatori al tempio Tofuku-ji (東福寺).
Ma Kyoto non e’ tutto intorno al bello ed al sublime. Kyoto vide nel 1860 molto sangue durante la rivoluzione contro la dinastia Tokugawa (徳川幕府, Tokugawa Bakufu) che governava il Giappone da oltre 250 anni. Uccisioni, teste tagliate, attacchi a sorpresa per le strade, nelle taverne, nelle case. Teste tagliate e piantate su pali lungo gli argini del fiume Kamo (鴨川, Kamo-gawa, Fiume delle Anatre). Sangue e muri insanguinati, pavimenti inzuppati e le urla degli assassini e degli assassinati.
E poi c’e’ Mimizuka. Alla fine del XVI secolo, al dittatore Toyotomi Hideyoshi, colui che riusci’ ad unificare il Giappone sotto la sua rude ed allo stesso tempo brillante autorita’, venne l’idea di conquistare la Cina. La Corea era sulla strada—sulla strada del grande sogno, una nazione sulla strada che egli stesso aveva messo sotto i suoi piedi. Ma i coreani non cooperarono, non si lasciarono conquistare facilmente. Combatterono come furie ed avevano capi militari dalle grandi capacita’ come Yi Sun-sin (李舜臣, 이순신, 1545-1598) e Kwon Yul (權慄, 권율, 1537-1599) ed erano spaleggiati dalle truppe cinesi, al punto che riuscirono a creare confusione fra gli invasori giapponesi, respingendoli nelle loro isole per ben due volte. I giapponesi distrussero tutto quello che potevano distruggere, senza pieta’ per nessuno. Distrussero il 95 percento delle reggie di Seoul; resero incoltivabili le campagne; rapirono i migliori ceramisti coreani costringendoli a lavorare ed insegnare la loro arte in Giappone. Distruggevano, con la scusa che loro erano superiori, ed eliminarono ogni prova del contrario. Dal quartier generale in Osaka (大阪), Hideyoshi faceva sapere ai suoi generali che sarebbero stati premiati in base al numero di coreani che rimanevano uccisi e ai soldati veniva detto che dovevano uccidere un minimo di tre coreani a testa. E dovevano esserci le prove. L’ideale erano le teste tagliate, ma non c’era posto sulle navi per le decine di migliaia di teste tagliate. Non restavano che le orecchie, ma dimostrare che due orecchie appartenevano alla stessa testa era piu’ difficile che avere un naso. Cosi’, fu deciso per i nasi.
I giapponesi non riuscirono memmeno ad avvicinarsi alla Cina. L’ammiraglio Yi Sun-sin e la sua flotta fermarono gli invasori nei pressi dell’isola di Hansan (閑山島, 한산도, Hansando) ad Okpo (玉浦, 옥포) e Noryang (露梁, 노량). Il generale Kwon Yul, con l’aiuto dei monaci Buddhisti, delle casalinghe lanciatrici di pietre ed una milizia piuttosto assortita, sconfisse il molto piu’ organizzato esercito giapponese a Haengju (幸州, 행주) alle porte di Seoul che non venne mai conquistata e gli invasori dovettero battere in ritirata. Quello che doveva diventare il conquistatore dell’Asia era ormai vicino alla morte quando la sconfitta del suo esercito e della sua flotta sembrava cosa certa. Ad Hideyoshi non restava altro che scrivere nel suo testamento che tutte le forze giapponesi dovevano rientrare in patria. E verso la fine della campagna i soldati diventarono piu’ crudeli che mai. Militari e civili coreani venivano mutilati senza nessuna ragione valida. Nessuno sa quanti morirono. Le stime oscillano fra i 40 000 ed i 200 000. I nasi vennero stivati in grosse botti piene di acqua salata, caricati in fretta nelle navi che dovevano trasportare nella Terra del Sole Nascente gli umiliati sconfitti. E tornarono a casa con questi trofei.
Una volta arrivati a Kyoto, i trofei rimasero in mostra per un breve tempo, a significare la terrificate potenza del Giappone quasi a mandare un messaggio a coreani e cinesi che la resistenza ha il suo prezzo. Ma i giapponesi avevano perso la guerra. Il sogno di Hideyoshi di conquistare l’Asia si concluse con la morte di piu’ di cento mila persone, la distruzione delle regge, delle infrastrutture e dell’agricoltura coreana.
Il clan Nabeshima (鍋島氏, Nabeshima-shi), da solo, ritornava a casa dalla Corea con 29 251 nasi. Il capo del clan deve aver ricevuto in omaggio un gran bel pezzo di terra a ricordagli la gratitudine del tiranno. Ma cosa fare con tutti quei nasi? Hideyoshi decise qualcosa di anormale per il dittatore quale era: ordino’ che ai nasi venisse data una sepoltura degna di loro proprio davanti all’edificio principale del tempio Buddhista di Hoko-ji (方広寺); un tempio che venne piu’ tardi distrutto due volte dal fuoco e non e’ piu’ dietro alla tomba, ma a nord del reliquario del despota, quel boccale scimmiesco che gli ha garantito il nomignolo di ‘la scimmia’.
Perche’ chiese che le vittime della sua pazzia fossero onorate dopo morte? Nessuno sa veramente il perche’, ma e’ probabile che ci fossero almeno tre motivi: primo, dimostrare che il suo esercito poteva uccidere senza paura; secondo, dimostrare che lui, tutto sommato, era un uomo compassionevole, che era sufficientemente umano da pagare rispetto alle anime dei morti; terzo, di fare tutto quello che poteva per tenere a bada fantasmi vendicativi.
Pur avendone sentito vagamente parlare ero sempre riuscito ad evitarla durante le precedenti visite a Kyoto, interessato molto di piu’ ai suoi famosi giardini, i piu’ misteriosi, delicati e deliziosi che io abbia mai visto; il tempio Saiho-ji (西芳寺), con i suoi oltre 200 tipi di muschi; Katsura Rikyu (桂離宮), una piccola dependance della reggia; i monasteri Sanzen-in (三千院) e Jakko-in (寂光院), a Ohara (大原) a nord della citta’; i templi Tenryu-ji (天龍寺), Nanzen-ji (南禅寺) e Ryoan-ji (竜安寺); il lago nel monastero Byōdō-in (平等院). Il karesansui (枯山水, paesaggio secco), con le sue creazioni di ghiaia e sabbia, pietre e bonsai (盆栽) ad imitare l’oceano, isole, fiumi e boschi. Ti siedi in fronte a queste meraviglie e se non c’e’ nessuno intorno ti senti perso dentro di loro. Puoi restare la’ all’infinito e pensi che solo un’anima in pace con se stessa e’ stata capace di fare tutto questo. Io sono anche sempre curioso di quello che c’e’ dentro al tempio e la sala principale del monastero Chion-in (知恩院) e’ una delle piu’ belle sale che mi sia mai capitato di vedere. E c’e’ il ruscello che si getta nel lago del monastero Byōdō-in; spesso mi sono inoltrato fuori dal sentiero principale, allontanandomi dalla massa di visitatori e mi sono seduto vicino all’acqua che scorre fra i sassi e crea un piccola cascata. La calma che ho assaporato mi ha spinto a chiedere a mia moglie di spargere le mie ceneri in questo luogo.
Kyoto e’ fatta cosi’: arrivi nella impersonale pre-moderna stazione ferroviaria conscio che nonostante tutti gli sforzi che hai fatto, i libri che probabilmente hai letto, the storie che hai sentito, sei come il resto dell’orda. Visiterai quello che gli altri visitano, ti metterai in coda con gli altri e salirai nelli autobus sperando di trovare qualcosa di magico. Visiterai il tempio Kiyomizu-dera (清水寺) con il suo padiglione dorato, la cerimonia del te e le geisha (芸者) nel quartiere Gion (祇園), comprerai qualche dolcetto delizioso e qualche altra diavoleria tipica di Kyoto perche’ sei sempre sotto la spinta della guida che hai in mano ed i consigli degli amici prima della partenza. I ricordi sono cruciali. Ho messo insieme meravigliosi album di fotografie che non mi hanno ancora compensato—memmeno con un’interesse passeggero—per quello che sono degni.
Ma il meglio di tutto e’ quello che i giapponesi chiamano niwa (丹羽, giardino). Chiunque di noi che e’ sufficientemente scaltro come turista va alla ricerca di qualche posto tranquillo capace di far dimenticare tutti i “ci vediamo”, il trascinare del baggaglio, il sudore, la folla (filistei di certo), i prezzi pazzescamente alti, la completa sfibrante esperienza di viaggiare lontano e far apparire finalmente che il tutto era degno di essere vissuto. Il giardino del tempio Shisen-do (詩仙堂), un pezzetto di paradiso, e’ lassu sulla collina dove il leggendario maestro di spada Miyamoto Musashi (宮本 武蔵, c.1584-1645) sconfiggeva, sotto quel grande pino, un gruppo di samurai (侍) del clan di Yoshioka (吉岡町, Yoshioka-shi); oppure sedersi sul porticato in fronte al giardino del tempio Shoden-ji (正伝寺), con il monte Hiei (比叡山, Hiei-zan) in distanza; passeggiare nel boschetto di bambu in Sagano (嵯峨野); assaporare il kakigori (かき氷, かきごお, scaglie di giaccio) insaporito alla fragola affogato nel latte condensato dopo che hai scambiato qualche parola con i visitatori al tempio Tofuku-ji (東福寺).
Ma Kyoto non e’ tutto intorno al bello ed al sublime. Kyoto vide nel 1860 molto sangue durante la rivoluzione contro la dinastia Tokugawa (徳川幕府, Tokugawa Bakufu) che governava il Giappone da oltre 250 anni. Uccisioni, teste tagliate, attacchi a sorpresa per le strade, nelle taverne, nelle case. Teste tagliate e piantate su pali lungo gli argini del fiume Kamo (鴨川, Kamo-gawa, Fiume delle Anatre). Sangue e muri insanguinati, pavimenti inzuppati e le urla degli assassini e degli assassinati.
E poi c’e’ Mimizuka. Alla fine del XVI secolo, al dittatore Toyotomi Hideyoshi, colui che riusci’ ad unificare il Giappone sotto la sua rude ed allo stesso tempo brillante autorita’, venne l’idea di conquistare la Cina. La Corea era sulla strada—sulla strada del grande sogno, una nazione sulla strada che egli stesso aveva messo sotto i suoi piedi. Ma i coreani non cooperarono, non si lasciarono conquistare facilmente. Combatterono come furie ed avevano capi militari dalle grandi capacita’ come Yi Sun-sin (李舜臣, 이순신, 1545-1598) e Kwon Yul (權慄, 권율, 1537-1599) ed erano spaleggiati dalle truppe cinesi, al punto che riuscirono a creare confusione fra gli invasori giapponesi, respingendoli nelle loro isole per ben due volte. I giapponesi distrussero tutto quello che potevano distruggere, senza pieta’ per nessuno. Distrussero il 95 percento delle reggie di Seoul; resero incoltivabili le campagne; rapirono i migliori ceramisti coreani costringendoli a lavorare ed insegnare la loro arte in Giappone. Distruggevano, con la scusa che loro erano superiori, ed eliminarono ogni prova del contrario. Dal quartier generale in Osaka (大阪), Hideyoshi faceva sapere ai suoi generali che sarebbero stati premiati in base al numero di coreani che rimanevano uccisi e ai soldati veniva detto che dovevano uccidere un minimo di tre coreani a testa. E dovevano esserci le prove. L’ideale erano le teste tagliate, ma non c’era posto sulle navi per le decine di migliaia di teste tagliate. Non restavano che le orecchie, ma dimostrare che due orecchie appartenevano alla stessa testa era piu’ difficile che avere un naso. Cosi’, fu deciso per i nasi.
I giapponesi non riuscirono memmeno ad avvicinarsi alla Cina. L’ammiraglio Yi Sun-sin e la sua flotta fermarono gli invasori nei pressi dell’isola di Hansan (閑山島, 한산도, Hansando) ad Okpo (玉浦, 옥포) e Noryang (露梁, 노량). Il generale Kwon Yul, con l’aiuto dei monaci Buddhisti, delle casalinghe lanciatrici di pietre ed una milizia piuttosto assortita, sconfisse il molto piu’ organizzato esercito giapponese a Haengju (幸州, 행주) alle porte di Seoul che non venne mai conquistata e gli invasori dovettero battere in ritirata. Quello che doveva diventare il conquistatore dell’Asia era ormai vicino alla morte quando la sconfitta del suo esercito e della sua flotta sembrava cosa certa. Ad Hideyoshi non restava altro che scrivere nel suo testamento che tutte le forze giapponesi dovevano rientrare in patria. E verso la fine della campagna i soldati diventarono piu’ crudeli che mai. Militari e civili coreani venivano mutilati senza nessuna ragione valida. Nessuno sa quanti morirono. Le stime oscillano fra i 40 000 ed i 200 000. I nasi vennero stivati in grosse botti piene di acqua salata, caricati in fretta nelle navi che dovevano trasportare nella Terra del Sole Nascente gli umiliati sconfitti. E tornarono a casa con questi trofei.
Una volta arrivati a Kyoto, i trofei rimasero in mostra per un breve tempo, a significare la terrificate potenza del Giappone quasi a mandare un messaggio a coreani e cinesi che la resistenza ha il suo prezzo. Ma i giapponesi avevano perso la guerra. Il sogno di Hideyoshi di conquistare l’Asia si concluse con la morte di piu’ di cento mila persone, la distruzione delle regge, delle infrastrutture e dell’agricoltura coreana.
Il clan Nabeshima (鍋島氏, Nabeshima-shi), da solo, ritornava a casa dalla Corea con 29 251 nasi. Il capo del clan deve aver ricevuto in omaggio un gran bel pezzo di terra a ricordagli la gratitudine del tiranno. Ma cosa fare con tutti quei nasi? Hideyoshi decise qualcosa di anormale per il dittatore quale era: ordino’ che ai nasi venisse data una sepoltura degna di loro proprio davanti all’edificio principale del tempio Buddhista di Hoko-ji (方広寺); un tempio che venne piu’ tardi distrutto due volte dal fuoco e non e’ piu’ dietro alla tomba, ma a nord del reliquario del despota, quel boccale scimmiesco che gli ha garantito il nomignolo di ‘la scimmia’.
Perche’ chiese che le vittime della sua pazzia fossero onorate dopo morte? Nessuno sa veramente il perche’, ma e’ probabile che ci fossero almeno tre motivi: primo, dimostrare che il suo esercito poteva uccidere senza paura; secondo, dimostrare che lui, tutto sommato, era un uomo compassionevole, che era sufficientemente umano da pagare rispetto alle anime dei morti; terzo, di fare tutto quello che poteva per tenere a bada fantasmi vendicativi.
La collinetta di Kyoto, chiamata Mimizuka dai giapponesi
e Kwimudum dai coreani
e Kwimudum dai coreani
La tomba fu originariamente chiamata Hanazuka (花冢)—un nome molto piu’ appropriato traducendo hana ‘naso’ e zuka ‘collina’. Il monaco superiore del tempio di Hoko-ji, Saisho Jotai, da perfetto lecca piedi, dichiaro’ che la collina alta nove metri era un segno della grande pieta’ di Hideyoshi. Saisho ed i suoi monaci si prostrarono al suolo in preghiera per lo spirito dell’orribile atto consumato verso i coreani. Nei primi anni del 1600, un alto ufficiale del nuovo regime dei Tokugawa shogun (将軍, commandante) ad Edo (江戸)—oggi Tokyo (東京)—decideva che Hanazuka era un nome troppo crudele che disturbava sia come nome che come immagine. La Collina dei Nasi venne ribattezata Mimizuka, che in fondo poteva sembrare meno crudele. Per i coreani restava sempre, e resta ancora oggi, Kwimudum (긔무듬, Tomba delle Orecchie), ma anche questo nome non e’ rigorosamente esatto: il nome avrebbe dovuto essere fin dall’inizio Komudum (코무듬), perche’ ko traduce ‘naso’.
Cosi’ oggi in Kyoto—forse la settima visita e probabilmente l’ultima, nessuno lo puo’ mai sapere—me ne vado in giro come se non ci sara’ piu’ un’altra occasione e daro’ precedenza assoluta a questa tomba. Sono venuto qua nel Kansai (関西地方, Kansai-chihō, Regione di Kansai) per ottenere un nuovo visto di residenza dal consolato coreano ad Osaka. Per noi stranieri rimane sempre un mistero sapere perche’ per ottenere un visto di residenza in Corea dobbiamo farlo solo attraverso un consolato coreano all’estero; comunque rimane sempre un’ottima occasione per fare del turismo e per cambiare aria per qualche giorno. Io personalmente sono un patito di archittetura e storia, cosi ho deciso di vedere e fotografare quanti piu’ possibile edifici disegnati da Ando Tadao (安藤 忠雄, 1941- ), di passare il mio tempo in qualche ottimo museo e finalmente rendere il mio omaggio alla mal nominata Collina delle Orecchie.
Alla stazione di Kyoto prendo l’autobus no. 206 diretto verso il Museo Nazionale e Sanjusangen-do (三十三間堂, Sala Lunga Trentatre Ken), il tempio con 1001 statue di Kannon (観音), la dea Buddhista della pieta’, quella divinita’ che gli indiani chiamano Avalokitesvara (अवलोकितेश्वर, Signore che Guardi Verso il Basso). Ai giapponesi piace dire che ogni membro del loro clan puo’ riconoscersi in una delle statuette perche’ sono tutte una differente dall’altra. Alcuni anni fa, visitai il tempio con un caro amico, Mr. Sin (신시, Sinsi) che nonostante un lungo lavoro di ricerca non fu capace di trovare la sua faccia, forse perche’ era coreano. Ovviamente io non persi tempo a cercare la mia! Una volta sull’autobus chiedo all’autista di avvisarmi quando devo scendere per la Mimizuka. Mi guarda malamente e commenta fra i denti: “sei uno strano forestriero a voler visitare quel triste posto”. Dopo 15 minuti mi fa scendere. Il reliquario di Toyokuni (豊国神社, Toyokuni-jinja) e’ giusto sulla destra dall’atra parte della strada. E’ un tempietto Shintoista dove Hideyoshi viene venerato come un dio e vicino c’e’ la collinetta dei nasi di forse piu’ di centomila delle sue vittime.
Dopo pochi passi trovo un piccolo grazioso giardino di giochi per bambini con un ipopotamo in cemento colorato in celleste pallido che due bambini cercavano di alimentare con l’erba del giardino. Non essendo sicuro di dove mi trovo, chiedo ad una giovane signora di passaggio dove si trova Mimizuka. Con un gentilissimo sorriso alla giapponese mi indirizza proprio a fianco del giardino dei giochi. E la’ vedo una collinetta con una stupa (स्तूप, pagoda) in cima. L’erba che la copre e’ di un verde molto scuro.
Io cerco di immaginare, ma proprio non ci riesco, dei nasi sepolti la’ dentro e mi chiedo, cosa e’ successo ai nasi o orecchie sepolte la’ 410 anni fa? Cosa pensano gli abitanti nei paraggi di questa tomba? Al lato c’e’ una lapide metallica tutta lucente scritta solo in giapponese e coreano. Nessuna traduzione in inglese per uno straniero come me. Immediatamente penso che questo e’ un’altro esempio del tipico desiderio dei giapponesi di cercare di tenere estranei all’oscuro circa i peccati del loro paese. Tuttavia, ad essere onesto, debbo dire che questo e’ un difetto non solo dei giapponesi! Mi piacerebbe avere un buon libro nella mia lingua che parli chiaramente di quello che e’ avvenuto; vorrei una eccezione alla regola del silenzio, del negare, del nascondere. Vorrei scattare qualche bella foto di questo posto piuttosto triste in modo da attenuarne l’orrore e poi andarmene. Guardo alle piccole case nei paraggi, ai giardinetti ben curati e pulitissimi, ai bambini ed alla loro felicita’ con l’ipopotamo, guardo ancora alla macraba collinetta con la pagoda di pietra in cima. Sono tutti i nasi tornati polvere? Sono le parti di tutte queste facce fuse col terreno come la Bibbia dice che deve avvenire? Chi sono? Pochi minuti sono piu’ che sufficienti, penso. Se mi fermo piu’ a lungo non riusciro’ piu’ ad uscirne fuori ed ora sta cominciando a piovere.
Dall’altra parte della strada, vicino all’entrata del reliquario del quasi dio Hideyoshi, c’e’ uno studente che sta consultando una guida turistica e sembra insicuro sulla strada da prendere. Decido di avvicinarmi. Ha tra le mani una guida Fodor in francese. Gli spiego da dove arrivo e gli parlo della collinetta. Mimizuka non e’ memmeno nominata nella sua guida e lui non aveva mai sentito parlare del luogo, ne della storia. Lo consiglio di visitare la collinetta e di leggere attentamente il testo in giapponese. La pioggia si fa piu’ fitta e ci separiamo.
Sull’autobus di ritorno alla stazione di Kyoto, un’americano circa la mia eta’ mi chiede: “Che fai da queste parti?” Assieme all’americano c’e’ sua moglie, una giapponese, ed il figlio di 5 anni che mi guarda meravigliato mentre racconto al padre la storia della Collina dei Nasi. L’americano e’ un professore di storia giapponese in una universita’ in Pennsylvania e non aveva mai sentito parlare della collinetta, sebbene mi pare di capire dai suoi discorsi che conosce molto bene Kyoto e dintorni. Un professore e studioso di storia giapponese, qua nella vecchia capitale del Giappone, per due settimane di studio sul teatro Noh (能楽, nogaku, abile o talento). Mi racconta che ogni giorno passa ore ad esercitarsi sui precisi e difficili movimenti di questa antica forma di teatro. Mi guarda in un modo come se non riuscisse a capire, meravigliato quando gli racconto della mia visita al Kwimudum. Continuando nella conversazione, visto che sia lui che la moglie sembrano interessati alle mie storie, racconto loro delle due localita’ che piu’ di tutto mi affascinano qua in Giappone. Sono due piccole isole: Okunoshima (大久野島), nel Seto Naikai (瀬戸内海, Mare Interno), nella Prefettura di Hiroshima (広島県, Hiroshima-ken) che dal 1929 al 1945 ospitava gli impianti di armi chimiche giapponesi; e Otsushima (対馬), nella Prefettura di Nagasaki (長崎県, Nagasaki-ken) che ospitava il centro di addestramento dei kaiten (回天, ritorno al cielo) i subacquei-suicidi della Seconda Guerra Mondiale. Mentre racconto, la faccia dell’americano si fa seria. Lui e’ un’esperto del periodo Muromachi (室町時代, Muromachi jidai, 1336-1573) e da l’impressione di non sapere nulla e di non essere interessato al periodo di Hideyoshi o di Hirohito (裕仁); e tra noi due cresce uno stato di tensione. Io mi ritengo uno a cui piace raccontare storie. L’americano agrotta la fronte e borbotta: “Nel mio dipartimento ci sono spesso di questi tipi. Tutto quello che sanno riguarda la Seconda Guerra Mondiale. I crimini giapponesi. Non sanno che questo paese ha una storia ricchissima. Non sanno nulla circa Muromachi! Non possono parlare giapponese. Non sarebbero mai capaci di sopravvivere da queste parti!” Sembra quasi arrabbiato con me. Io sono uno di loro. Non parlo giapponese, ho solo una moglie coreana e nessun interesse nell’imparare l’arte del teatro Noh. Piuttosto triste! Mi sarebbe piaciuto che mi avesse parlato di quali sono le sue passioni, quali i suoi interessi. Tuttavia ogni professore di storia giapponese in una qualsiasi universita’ occidentale dovrebbe conoscere la storia di Mimizuka e di quelle due isole.
L’autobus arriva alla stazione di Kyoto. Due estranei si separano dopo un breve incontro, rientrano nelle loro sfere e si incaminano per la loro strada. Io ritorno alla J-Hopper cheapo (Guest House), qualche centinaio di metri dietro la stazione. Un’altro giorno in Giappone e poi via in Korea. Con l’aiuto di Myo-hwa (mia moglie) e di Mr. Sin, l’amico coreano che parla giapponese, scopro che l’iscrizione biligue e’ abbastanza onesta anche secondo lo standard giapponese. Spiega come Hideyoshi “cercando di estendere il suo potere nel continente invase la Corea.” Come le sue truppe tagliarono le orecchie ed i nasi dei soldati coreani “e dei civili, persino delle donne... Hideyoshi venne sconfitto... dalla resistenza incredibile dell’intero popolo coreano. E Mimizuka/Hanazuka... e’ la’ come un ammonimento della sofferenza del popolo coreano in guerra”. Anche se il governo giapponese ha decorato questo triste posto col simbolico titolo di ‘tesoro culturale nazionale’, respingendo in questo modo i vari tentativi dei coreani di spianare la collinetta o di muoverla in Corea, Tokyo non sta provvedendo nemmeno a sovvenzionare chi dovrebbe prendersi cura della collinetta e la manutenzione e’ lasciata alla benevolenza di coloro che abitano nei dintorni. Il municipio di Kyoto ha pagato per l’iscrizione bilingue. La pagoda in cima alla collinetta molto probabilmente era la’ fin dall’inizio, come appare in uno schizzo su una mappa che risale al 1643. Ma le iscrizioni sullo schizzo sono illegibili, apparentemente provenienti dall’India come molte altre usate in antichita’ nei sutra (सूत्र, pace) Buddhisti qua in Giappone. E cosi’ la triste collinetta restera’ a Kyoto.
Durante questa visita, sono andato, come sempre vado quando sono da queste parti, nel piu’ bello e riposante posto al mondo. E’ il tempio Kodai-ji (高台寺) nelle colline ad ovest della citta’—nella zona di Higashiyama (東山区, Higashiyama-ku, East Mountain), non lontano da Hanazuka e dal reliquario del tiranno che mori’ nel 1598. Dopo la morte del tiranno, sua moglie, in accordo con la tradizione, prese i voti, si fece monaca ed ebbe questo tempio costruito in suo onore. Durante l’estate, per un paio di settimane, viene illuminato da tenui lanterne elettriche. I giardini e gli edifici in legno sono tutta una serenita’. Un laghetto e’ circondato da alberi che si intreciano sopra riflettendosi nell’acqua sembrando quasi nascere dall’acqua: mi vengono alla mente due sole parole: ‘terribile illusione’. Non riesco a riconciliare l’immagine del dittatore conservata nel tempio—il diavolo impersonificato—con questa calma perfetta, questa pace.
PS. Ho scritto queste note circa uno dei miei tanti viaggi in Giappone nell’agosto 2005, ma credo che possa servire anche oggi a ricordare una triste pagina della storia coreana.
Giorgio Olivotto
Foto di Giorgio Olivotto
Seoul, Corea
12 giugno 2011
Foto di Giorgio Olivotto
Seoul, Corea
12 giugno 2011
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