Seoul e il 112

Mi sto gustando il programma 911 trasmesso settimanalmente dalla TV dell’American Force Korea Network (AFKN). Mi esalto nel vedere i poliziotti del gruppo di primo soccorso, le ambulanze degli ospedali e gli interventi rapidi e spontanei dei vigili del fuoco nel rispondere alle chiamate di aiuto in modo da salvare vite umane. Ma gli atti di eroismo dei semplici passanti, che rischiano la loro vita pur di salvarne un’altra mi esaltano ancora di piu’.
La notizia che finalmente Seoul ha inaugurato un servizio di emergenza del tipo 911, il 112, e’ stata certamente una gran bella notizia. Ma poi leggo nei giornali che il 112 e reso praticamente non-operativo a causa delle telefonate false che riceve. Gli ospedali, gia sovracarichi nell’accomodare le richieste di emergenza dei malati che si presentano alle loro porte, hanno troppo spesso riscontrato che cittadini poco coscienti telefonano al 112 solamente per divertirsi nel vedere le ambulanze che rispondono alle false chiamate. Il personale delle ambulanze e’ stanco di correre dietro a tutte queste false chiamate ed oggi gli ospedali rispondono a meno del 10 percento delle chiamate che ricevono.
L’abuso del 112 e’ in accordo con la mancanza di coscienza civica che ho notato qua in Corea. Il concetto di essere il fratello che si cura del fratello e’ normalmente assente qua in Corea. La ragione per questa assenza puo’ essere trovata nella perversione dell’insegnamento di Confucio ed alla rottura delle relazioni sociali a seguito dell’urbanisazione.
Il grande pensatore e filosofo sociale cinese Kung Fu-tzu (孔子, Master Kong, Confucius, 551-479 BC) e le riforme instaurate dal neo-confucianesimo coreano nel XVI e XVII secolo insegnano l’importanza di comportarsi in pubblico con civilta’ e di coltivare rispettose relazioni umane. Ma questo insegnamento di Confucio viene regolarmente trascurato, mentre viene sempre richiamata l’attenzione sui cinque principi fondamentali del confucianesimo, le cosidette cinque relazioni fondamentali—padre verso figlio, re verso suddito, marito verso moglie, vecchio verso giovane, amico verso amico. Fino a quando un’individuo non viene classificato nei limiti di almeno una di queste cinque relazioni fondamentali, l’individuo viene considerato una non-persona; in altre parole, una persona che puo’ essere messa da parte, dimenticata, non ascoltata senza nessuna preoccupazione. E perche’ no? Se questo individuo e’ uno straniero, non e’ nessuno. Le persone che non riescono ad entrare in una delle cinque relazioni fondamentali sono degli stranieri, non dei normali cittadini coreani.
In Corea si nota la mancanza del concetto di cittadino, un concetto essenziale per il benessere di un paese. La cristianita’ offre una risorsa spirituale per la rinascita del concetto di cittadino, perche’ insegna che tutti sono candidati ad essere cittadini nella Citta’ di Dio, dove ognuno puo’ vivere come fratello e sorella, come una famiglia legata da vero amore e cura uno dell’altro. In questa famiglia, senza dubbio, c’e’ spazio piu’ che sufficiente per accomodare le cinque relazioni fondamentali del confucianesimo—padre verso figlio, re verso suddito, marito verso moglie, vecchio verso giovane, amico verso amico. Il concetto confuciano delle cinque relazioni fondamentali crea un eccellente sostegno sociale per un paese fino a quando la relazione amico verso amico viene allargata ad includere persone di tutte le razze, religioni, etnicita’ e nazionalita’.
Il Buddhismo, con il suo inerente rispetto per il valore di tutti gli esseri viventi e con lo scopo di realizzare la natura di Buddha (Colui che si Sveglia o l’Illuminato, Siddhārtha Gautama, सिद्धार्थ गौतम, c.563-c.483 BC) dentro ognuno di noi, da anche la possibilita’ di riscoprire il concetto di cittadino. Essendo ognuno di noi in grado di realizzare in noi stessi la natura di Buddha, siano tutti uguali.
Il concetto di cittadino implica il riconoscimento della divinita’ in ogni persona, indipendentemente da quelle che sono le relazioni di uno verso l’altro. Le persone che incontriamo per strada non sono stranieri, sono i nostri vicini. Le persone in macchina che dividono con noi le pene del traffico non sono stranieri, sono nostri fratelli e sorelle. Le persone che lavorano al nostro fianco in ufficio o in fabbrica non sono stranieri, sono membri della stessa famiglia umana. Quando questo modo di pensare sara’ compreso ed applicato, allora vedremo una rinascita della coscienza umana in questo paese. Noi siamo veramente coloro che si prendono cura dei nostri fratelli e sorelle, specialmente quando uno di loro ha bisogno di aiuto.

PS. Ho scoperto fra vecchie carte un’articolo che avevo scritto nel 1992 per essere pubblicato in un giornale locale. In considerazione del fatto che non troppe cose sono cambiate da allora, credo che l’articolo sia ancora valido oggi e degno di essere riletto ancora una volta.

Giorgio Olivotto
Seoul, Corea
19 giugno 2011

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