Fin dall’inizio della storia, i militari hanno imparato la regola che l’ordine di un superiore deve essere assolutamente obedito senza discuterlo, L’Articolo 44 del Codice Criminale coreano prevede la pena capitale, l’ergastolo e piu’ di 10 anni di galera per coloro che “resistono o disobediscono un’ordine di un superiore nella situazione di confronto alle forze nemiche.” Tuttavia, alcune persone sono passate alla storia per aver ascoltato la loro coscienza e disobedito gli ordini.
Il generale coreano Kim Yong-hwan e’ ricordato come il generale che ha salvato la Tripitaka Koreana (八萬大藏經, 팔만 대장경, Palman Taejanggyong, Ottantamila Tripitaka)—un tesoro coreano e mondiale conservato nel tempio di Haein (海印寺, 해인사, Haeinsa, Tempio che si Riflette su un Mare Tranquillo) nel monte Kaya (伽倻山, 가야산, Kayasan), nella provincia meridionale del Kyongsang (慶尙南道, 경상남도, Kyongsangnam-do)—dall’essere ridotta in cenere disobedendo all’ordine del comandante delle forze dell’ONU che aveva chiesto di distruggere il tempio. “La Corea deve ritenersi fortunata nell’avere un militare come lui” gridavano coloro che lo acclamavano per aver giustificato la sua disobedienza citando l’importanza di quel tempio.
Tempio di Haein. L’archivio della Tripitaka Koreana
Oltre che questo episodio, ci sono altri episodi simili avvenuti in quel periodo. Il superintendente generale Cha Il-hyok salvava il tempio di Hwaom (華嚴, 화엄, Hwaomsa) sulle pendici del monte Chiri (智異山, 지리산, Chirisan), provincia meridionale di Cholla (全羅南道, 전라남도, Chollanam-do) dall’essere dato alle fiamme disobedendo l’ordine di un suo superiore dicendo, “E’ sufficiente un solo giorno per bruciarlo, ma ci sono voluti mille d’anni per costruire un tempio come questo.” In un’altro caso, lo stimato monaco buddista Pang Hanam, fece scudo col suo corpo ai soldati che avevano l’ordine di dare alle fiamme il tempio di Sangwon (상원사, Sangwonsa) sulle pendici del monte Odae (오대산, Odaesan) nella provincia di Kangwon (江原道, 강원도, Kangwon-do) dicendo che si sarebbe imolato lui stesso tra le fiamme del tempio. Questi episodi toccano il nostro cuore e, certamente non e’ di meno la storia di quegli ignoti soldati che ascoltando il monaco si ritiravano dal tempio dopo aver solamente demolito le porte dell’edificio principale.
L’abilita’ di disobedire agli ordini per seguire il proprio giudizio morale e’ una di quelle caratteristiche che ci rendono diversi dalle macchine, che sono state costruite per obedire agli ordini senza pensare.
Seoul, Corea
Foto di Giorgio Olivotto
25 settembre 2011
Il regista neorealista Vittorio De Sica (1901-1974) nel suo film Ladri di Biciclette (1948) racconta la storia della disperazione nella quale vivevano gli italiani subito dopo la guerra. Nel film Antonio Ricci e’ uno dei tanti disperati alla ricerca di un lavoro per far vivere la sua famiglia. Finalmente trova un lavoro da attacchino, ma il lavoro richiede il possesso di una bicicletta. Maria, la moglie, impegna le lenzuola nuove per comprare la bicicletta ed Antonio, pieno di sogni e di speranza, al primo giorno di lavoro si sveglia dal sogno per accorgersi che gli hanno rubato la bicicletta. Antonio e Bruno, suo figlio, disperati vanno in giro per Roma in cerca della bicicletta senza trovarne traccia. Sia gli amici che la chiesa non sono in grado di aiutarlo e la polizia e’ indifferente al furto. Dopo tanto girare, Antonio finalmente trova la bicicletta ma, immediatamente, realizza che non puo’ averla di ritorno. Preso dalla rabbia, si accorge che all’angolo della strada c’e’ una bicicletta apparentemente abbandonata e, senza pensarci troppo sopra, decide di rubarla per essere preso sul fatto. Antonio e Bruno persa ogni speranza posono solo guardare il faccia la cruda realta’. Il proprietario della bicicletta non sporge denuncia ed Antonio e Bruno si avviano verso casa mentre le lacrime scendono sul loro viso.
Italian neorealist filmmaker Vittorio De Sica (1901-1974) in his 1948 film Bicycle Thieves tells a story of the desperate life in post-World War II Italy. In the film, Antonio Ricci was one of the desperate people looking for a job to support his family. He finally finds a job pasting up posters, but it requires a bicycle. His wife Maria pawns their new bed sheets to buy him a bicycle. On the first day, Antonio had high hopes for the job only to find that his bicycle has been stolen. Antonio and his young son Bruno look all over the streets of Rome with no luck. Neither his friends nor the church could help him. The police were indifferent to his loss. He finally finds the thief only to realize he can’t get his bicycle back. Out of frustration and fury, a bicycle parked on the street catches his attention. In the end, Antonio tries to steal the bicycle, but he is caught on the spot. Antonio and Bruno hopelessly face merciless reality. The bicycle owner does not press charges and as Antonio walks back home with his son, tears stream down his face.
